Era ottobre 2014, presso il Centro Nazionale di Ricerche di Bologna. Con Fabrizio, il mio più caro amico e il mio socio, stavamo seguendo un corso di Social Marketing. Avevo appena registrato il dominio del mio primo wine blog, cavatappi.org, e non sospettavo nemmeno che a distanza di 5 anni sarei diventata una wine blogger e questo sarebbe stato il mio principale lavoro. Anche se da sempre desideravo un lavoro che mi rendesse libera di vivere dove volevo, possibilmente vista lago o vista mare. Molti sono schiavi del sistema al punto che lavorano per comprarsi la macchina con cui andare a lavorare. E magari non hanno nemmeno una casa, o questa casa non è abbastanza dignitosa come la loro macchina. Il concetto di qualità della vita è un lontano ricordo: ci si stringe in condomini enormi, in brutte periferie, alla stregua di diligenti formiche operose che non si chiedono mai se è questa è davvero la vita che vogliono. Altri invece vivono alla giornata per paura di perdere una millantata libertà che spesso nemmeno hanno. Hai presente le cicale che cantano tutta l’estate e muoiono di fame e solitudine d’inverno? Non essere né una formica né una cicala: sii aquila, e ricorda che questa non vola mai a stormi. So che ti stai chiedendo cosa c’entra questa premessa con l’ultimo giro di boa che ha dato Instagram agli influencer! Nell’era del digitale, complice anche il lungo periodo di crisi che stiamo vivendo, sono nati nuovi lavori, tra cui il blogger prima e il social influencer dopo. Questo è bene, assolutamente bene. Trovo straordinario che ci siano persone capaci di creare un mercato da zero grazie alla loro intelligenza e al loro talento. Quello che invece trovo meno straordinario, anzi piuttosto fastidioso, è che gli stessi strumenti che hanno permesso di ampliare all’infinito gli orizzonti abbiano permesso all’ultimo coglione di turno di fare il fenomeno su Instagram. E di guadagnarci pure, spesso raggirando aziende che non hanno le competenze -interne o esterne- necessarie per valutare se questi soggetti sono dei “veri influencer”.
Ricordo quel giorno di ottobre, Fabrizio mi guardò e mi disse: “Non investire mai in un media di cui non sei proprietaria. Laddove le regole non le fai tu, sarai sempre in balia degli interessi di altri“. Beh, mai consiglio fu più prezioso! Ho investito tantissime risorse per rendere Perlage Suite uno dei wine blog più letti d’Italia. Ho studiato tantissimo. Ho passato centinaia di notti in bianco negli ultimi 5 anni. Me ne sono bellamente fregata di Instagram, e ancor di più di Facebook. Credo di non aver addirittura mai guardato la mia home di Facebook da quando ho aperto il profilo. Non capirò mai chi spreca il suo tempo per sapere tutti i capperi del suo ex vicino di banco delle medie. E non capirò mai perché una persona deve essere così insicura da avere bisogno di mostrare una realtà gonfiata che rende la sua vita più interessante in modo da avere conferme di riprova sociale. I social network sono interessanti e preziosi per creare contenuti di valore di qualsiasi genere da condividere col mondo, o per scoprirli. Peccato però che i contenuti di valore latitano al pari dei veri influencer. Ed è così che Instagram si riempie di ragazzine e ragazzini che più che influenti sono “influenzati”(nel senso che proprio hanno il brutto virus del fancazzismo), con numeri gonfiati da qualsiasi cosa: quando va bene utilizzano bot di follow/unfollow e gruppi di scambio like e commenti, quando va male comprano al costo di 2 scatole di aspirina 50.000 followers e fanno i professoroni di wine marketing. Ne conosco meno di una manciata in gamba, che sono stati capaci di aprirsi un mercato e creare valore per i loro followers. Tutto il resto è spazzatura. Cretini di tutti i generi che credono che fare il wine blogger o il wine influencer è fico perché ti regalano le cose, senza pensare che dietro c’è tantissimo lavoro e sacrificio. C’è da tenere il culo incollato alla sedia anche quando sei a al 31 luglio e fuori ci sono il sole e 40 gradi, ecco.
“Vogliamo che i tuoi followers si concentrino su ciò che condividi, non su quanti like ottengono i tuoi post”
ho letto giusto qualche giorno fa sul mio profilo Instagram, mentre non vedevo più il numero dei like sulle foto degli altri utenti.
Per fortuna quel fenomeno di Mark Zuckerberg è venuto in nostro soccorso e ha deciso di assestare un altro colpo al mercato dei wine influencer: non sarà più possibile vedere il numero di like di una foto. Vuoi aumentare i tuoi followers e l’engagement dei tuoi post? Paghi della sana, regolare e (speriamo) efficace pubblicità! Al rogo i bot, i venditori di followers e like dei suoi stivali che veicolano soldi all’esterno della sua piattaforma! E soprattutto al rogo sti benedetti influencer: può Coca Cola pagare 3,5 milioni di euro a Selena Gomez per sorseggiare una sua bibita invece di investire quei soldi in pubblicità su Instagram? Fortuna che c’è “brava gente” come Donald Trump che ha speso 1 milione di euro al giorno in pubblicità su Facebook per diventare Presidente degli Stati Uniti d’America. No, ma sul serio… pensavate che Instagram o Facebook erano delle Onlus da usare a vostro piacimento e guadagno? Hai idea di quante risorse economiche servano per far funzionare queste piattaforme con tutte le menate che la gente carica sul suo profilo Facebook/Instagram? Tutti questi contenuti finiscono “da qualche parte” e questo “qualche parte”, per essere sempre online con milioni di utenti contemporaneamente ciuccia più risorse dell’agnello al forno di tua suocera a Pasqua. A questo proposito proprio ieri, sempre su consiglio di Fabrizio, ho visto su Netflix un documentario molto bello che si chiama The Great Hack – Privacy violata. Racconta come l’elezione di Trump e la Brexit sono stati risultati ottenuti grazie al lavoro di Cambridge Analytica e Facebook che hanno influenzato migliaia di persone mostrando loro contenuti ottimizzati per generare paura e cambiare le loro decisioni. La paura uccide l’intelligenza, è un dato di fatto. La paura non fa ragionare né con la testa, né con il cuore. La paura ci rende appunto influenzabili e controllabili. E secondo te ora che i dati hanno superato il valore del petrolio, Instagram se ne sta buona e zitta a vedersi soffiare milioni di fatturato pubblicitario da influencer o presunti tali? Cioè Instagram possiede i dati che le servono per rendere le sue pubblicità estremamente efficaci, ma non li sfrutta appieno a causa dell’ultima mamma-blogger aspirante consumatrice di pannolini gratuiti? Instagram che malapena tollera Chiara Ferragni, Selena Gomez o Cristiano Ronaldo dovrebbe tollerare anche questi milioni di specchietti per le aziende-allodole?
La genialata finale? Far passare l’operazione della rimozione dei like alle foto come una scelta fatta per la salute mentale degli utenti che, così facendo, avranno meno ansia da prestazione e saranno meno impegnati nella caccia dei like. Davvero, sono dei geni… del crimine però. Questa mossa dei like ha un solo scopo: eliminare i finti influencer e (forse) abbassare il cache degli influencer veri che, purtroppo per Instagram, sono pagati direttamente dai marchi. Anche io talvolta sono pagata da alcuni Brand -mai aziende vinicole, per carità- per condividere contenuti su Instagram e mostrare i loro prodotti o le loro strutture. Tuttavia, essendo un altro il mio core business, faccio parte di quei wine blogger felici di vedere Mark prendere in mano la situazione per aumentare le sue entrate pubblicitarie. E anche le aziende dovrebbero essere contente di questo: distinguere un influencer reale da un influencer gonfiato da trucchetti poco ortodossi spesso non è così semplice, e ad alcuni basta vedere migliaia di followers per essere tratti in inganno e spendere soldi in campagne che al più faranno guadagnare loro un malanno fuori stagione!
Instagram solo in Italia conta 22 milioni di iscritti, oltre un terzo della popolazione. Praticamente tutti, se consideriamo neonati, bambini piccoli e anziani. Una parte di questi profili sono stati coinvolti nel test dei “like nascosti”. Ti invito a leggere questo articolo pubblicato da Roberto Buzzatti su Forbes, che fa chiarezza sulla “Pesce Palla Strategy” di molti profili Instagram.
E qui arriviamo al punto: in una società 2.0 in cui il valore individuale sembra essere il numero di followers e di likes, tutti, chi più chi meno, ricorrono ad aiutini per gonfiare i propri numeri cercando di apparire più influenti di quanto non siano realmente.
Io la chiamo “Pesce Palla strategy”. Ti gonfi per sembrare più grosso di quel che sei. Ma il pesce palla lo conosciamo tutti e, più che influenzarci, ci fa un po’ sorridere perché solo lui pensa di far paura a qualcuno.
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Impossible continuare a crescere con gli automatismi, acquistare followers è un terno al lotto poiché possono arrivare tutti, solo alcuni o nessuno e nei giorni successivi non sai mai se ci saranno ancora. Il prezzo dei like invece è cresciuto tantissimo perché per mandarli le procedure sono molto più complesse e i filtri di Instagram ne bloccano la maggior parte. Il mercato parallelo della notorietà a basso costo comincia fortemente a scricchiolare e i pesci palla cominciano a sgonfiarsi.
[…]
Tutto questo, a detta di molti, sarà la tomba degli influencers che, senza poter sfoggiare i loro tanto impressionanti quanto finti numeri, perderanno appeal sul loro seguito.
Era ora! Sono certa che questo provvedimento eliminerà gli influencer gonfiati-influenzati-spazzatura e ci lascerà solo gli influencer veri, quelli che fanno informazione pubblicando contenuti di valore per il loro target. A tutto vantaggio della tua user-experience: sai che tristezza avere a che fare ogni giorno con un robot che ti commenta e ti mette like invece che con una persona reale che interagisce con te sul serio? Diciamo che è come fare l’amore con una bambola gonfiabile… in un qualche modo puoi anche raggiungere l’amplesso, ma una persona in carne e ossa che ci mette passione, se sei fortunato addirittura sentimento, è tutta un’altra cosa.
Nascondere i like e irrigidire I controlli alla fine farà felici tutti:
- Zuckerberg e “famiglia” torneranno a guadagnare con le pubblicità, ormai unica possibilità di crescita.
- Gli utenti avranno meno contenuti spazzatura e interazioni con persone reali.
- I Brand non rischieranno i loro soldi in influenzati che non porteranno mai nulla alla loro azienda.
- I Social Media Manager in gamba torneranno in auge quale unico strumento di valore per crescere davvero su Instagram.
- Gli influencer veri faranno ancora più soldi e si potranno prendere il lusso di pubblicare un contenuto in più tanto chissene frega se se lo cacano in pochi.
Resta solo da capire che fine farà il pesce palla e chi alimenterà la sua già scarsa autostima.
Tuttavia non darti troppa pena per lui: quasi sempre è un emotivo che dimenticherà in fretta il suo (finto) successo su Instagram, giusto il tempo di rimpiazzarlo con un nuovo strumento capace di dargli nuove intense emozioni.
Cheers 🍷
Chiara
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