Venerdì pomeriggio ho ricevuto un bellissimo pacco dalla Toscana dalla cantina Caiarossa che conteneva, tra i vari vini, un vasetto di salsa di pomodoro freschissima, degli spaghetti di grano duro dell’azienda agricola biologica biodinamica “Il Cerreto” di Carlo Boni Brivio, l’olio extravergine di oliva di Caiarossa e un delizioso cartoncino con la ricetta di Irene. Così, anche se avevo già programmato di cucinare altro per cena, ho deciso di fare proprio gli spaghetti al pomodoro e stappare un vino toscano Caiarossa 2016 (da urlo) perchè vi voglio raccontare qualcosa che ho studiato all’università per l’esame di Storia dell’Enogastronomia proprio sul pomodoro.
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La salsa di pomodoro? Una delizia afrodisiaca della cucina atzeca.
Tutti noi, se pensiamo al pomodoro, sono certa che lo crediamo un simbolo della cucina italiana. Nella nostra testa gli spaghetti al pomodoro sono un emblema della nostra tradizione. Eppure la pasta è nata e ha attraversato i secoli senza questo frutto. Basta pensare che il pomodoro è arrivato in Europa e in particolare in Italia dopo la scoperta dell’America avvenuta nel 1492. Quindi se vogliamo considerare la salsa di pomodoro tradizionale per un popolo dobbiamo pensare agli Atzechi, che la ritenevano addirittura afrodisiaca. Tanto che Sir Robert Raleigh, navigatore e poeta inglese amante della regina Elisabetta I, le donò – di ritorno dalla scoperta delle coste dell’America Settentrionale che proprio lui battezzò Virginia in suo onore – proprio una pianta di pomodoro carica di questi rossi e carnosi frutti che chiamò apples of love (pomi d’amore). Questo nome fece il giro d’Europa e arrivò in Francia e in Italia, tanto che tutt’oggi in alcune zone della Sicilia è ancora chiamato pùma d’amùri.
E forse – ipotizzo – è anche grazie all’osteggiata storia d’amore tra Sir Robert Raleigh e la Regina Vergine che il rosso è diventato nei secoli il colore della passione, dell’amore e del pericolo. Lei, Elisabetta I, decise di rimanere nubile – ufficialmente vergine – per salvarsi la testa. Lui, Sir Robert, si accontentò di avere in sposa una sua dama di corte, ma la testa la perse comunque dopo la morte di lei, quando cadde in disgrazia.
Pomodoro: da pianta ornamentale a simbolo gastronomico
Se nella sua terra d’origine in epoca moderna non ebbe grande successo per via del suo succo acidulo e del suo colore che ricordava il sangue quasi a simbolo di una natura ostile, in Italia la sua storia tradizionalmente comincia a Pisa nel 1548 quando Cosimo de’ Medici riceve un cesto di pomodori. In realtà era già arrivato in Europa da 8 anni importato dal condottiero spagnolo Hernán Cortés ed era sbarcato in Sicilia – sotto diretta dominazione spagnola – qualche anno prima e quando in Toscana era ancora usato come pianta decorativa, qui veniva già cucinato. Merito del medico e botanico spagnolo Nicolás Monardes che nel suo libro Delle cose che vengono portate dall’Indie Occidentali pertinenti all’uso della medicina (1565-1574) lo propose come pianta farmacologica e gastronomica. Il binomio pasta e salsa di pomodoro comincia quindi proprio in Sicilia alla fine del 1500.
Per tanti anni tuttavia prevalse la coltivazione come pianta ornamentale per via dei suoi frutti spesso color oro e veniva regalato dai nobili alle loro dame. La colorazione rossa fu selezionata nell’agro nocerino a cavallo tra ‘600 e ‘700 fino a diventare quella prevalente.
Le prime tracce dell’utilizzo della salsa al pomodoro in Italia ce lo dà il cuoco Antonio Latini nel suo libro “Lo scalco alla moderna” del 1692 dove descrive la ricetta della salsa al pomodoro alla spagnuola diffusa nella cucina alla napoletana. Il biologo Lazzaro Spallanzani nel 1762 invece notò per primo come l’estratto di pomodoro bollito e conservato in un contenitore chiuso rimanesse intatto per lungo tempo definendone la prima tecnica di conservazione.
E fu così che il pomodoro si trasferì dal giardino femminile al campo maschile e cominciò ad essere coltivato ovunque, anche se è stato solo tre secoli dopo, alla fine del 1800, nelle assolate pianure padane, che il pomodoro ha cominciato ad avere una grande importanza nell’alimentazione svolgendo un ruolo da protagonista nell’allora diffusa cucina dei sughi. Dobbiamo ricordarci che la cottura non era tanto un procedimento culinario ma un fondametale processo di sanificazione necessario per sopperire alla mancanza di idonei mezzi di conservazione.
Intorno al 1850 nelle campagne di Parma si producevano i cossiddetti pani neri utilizzanto la polpa esiccata al sole. Dal 1865 il professor Rognoni contribuì alla diffusione delle tecniche di coltivazione che aveva sperimentato personalmente nei propri pederi. Dieci anni dopo Francesco Cirio creò la prima industria conserviera italiana dedicata proprio al pomodoro e 30 anni dopo, nel 1905, l’industria parmense importò un’apparecchiatura per la condensazione del concentrato di pomodoro sottovuoto che fece letteralmente spiccare il volo al pomodoro italiano.
Il binomio pasta-salsa di pomodoro fu un’invenzione del romagnolo Pellegrino Artusi capace di imporre questa ricetta del cuoco romano Francesco Leonardi come caratterizzante di tutta la Cucina Italiana. Francesco Leonardi ha pubblicato nel 1807 la seconda edizione del suo libro Apicio Moderno in cui compare per la prima volta la ricetta della pasta al pomodoro. Questo sugo da lui inventato si faceva soffriggendo cipolle, sedano e carote in olio extravergine d’oliva, aggiungendo poi aglio e pomodori privi di semi e facendo sobbollire tutto a lungo, completando poi con il basilico fresco. Nel 1891 Artusi autopubblicò la Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene, un ricettario di 790 ricette che provenivano soprattutto dalle regioni centro-settentrionali, in cui inserì anche la ricetta di Leonardi. In breve tempo i maccheroni al pomodoro, un nome che indicava un formato di pasta a forma di tubo lungo o corto a seconda di come veniva tagliato, conquistarono prima tutte le famiglie aristocratiche italiane, poi quando diminuì l’analfabetismo e aumentò il benessere, nel secondo dopoguerra, tutti gli italiani.
Spaghetti al pomodoro: i prodotti di Caiarossa
Tornando ai giorni nostri, Caiarossa ha selezionato un produttore speciale di pasta, Il Cerreto, che utilizza grano duro certificato biodinamico, per darci un prodotto fatto da qualcuno che segue la loro stessa filosofia agricola.
La salsa di pomodoro freschissima di Caiarossa è fatta con i pomodori che crescono nel loro orto sinergico.
L’olio extravergine di oliva è prodotto esclusivamente con le olive dei 1000 olivi sparsi all’interno della proprietà i Caiarossa. Le varietà utilizzate sono quelle classiche toscane: Frantoio, Leccino e Moraiolo.
Spaghetti al pomodoro: la ricetta di Irene interpretata da me
- Porta ad ebbollizione l’acqua, aggiungi il sale e versa 250g di spaghetti Il Cerreto. Lascia cuocere 5 minuti.
- In una padella antiaderente metti 3 cucchiai d’olio extravergine Caiarossa, un pizzico di sale, qualche scaglia di peperoncino e uno spicchio d’aglio schiacciato.
- Appena l’olio è ben caldo versa l’intero vasetto di salsa al pomodoro freschissima e lascia cuocere a fuoco basso.
- Togli gli spaghetti dall’acqua direttamente con una pinza e mettili nella padella con la salsa di pomodoro. Aggiungi un mestolo d’acqua di cottura e cuoci fin tanto che il sugo non si è addensato al punto giusto e la pasta è al dente, comunque per circa 3/4 minuti a fuoco medio.
- Con l’aiuto del mestolo e un forchettone impiatta creando un nido. Completa con un giro d’olio extravergine di oliva Caiarossa, una grattata di formaggio e una foglia di basilico se è stagione.
Caiarossa 2016
Viene elaborato da uve cabernet franc 42%, merlot 25%, syrah 15%, cabernet sauvignon 6%, petit verdot 6%, sangiovese 5%, alicante 1% provenienti dal Podere di Serra all’Olio. L’uva viene raccolta a mano per circa sei settimane fra fine Agosto e inizio Ottobre. La selezione delle uve avviene in tre fasi: in vigna e sul nastro di cernita prima e dopo la diraspatura. La macerazione prefermentativa dura da 2 a 4 giorni, poi avviene una macerazione sulle bucce per altri 20-30 giorni a seconda della varietà e del terroir.
La fermentazione alcolica di ogni varietà, avviene separatamente in vasche di cemento e legno di varia grandezza, da 10 a 80 ettolitri, senza l’aggiunta di lieviti selezionati. Vengono eseguiti rimontaggi e rottura manuale del cappello due volte al giorno per circa 9-12 giorni, successivamente un rimontaggio al giorno fino a fine macerazione. La fermentazione malolattica si svolge in vasche di cemento o legno. L’invecchiamento avviene in tonneaux e barriques nuove, di secondo e di terzo passaggio usando circa il 30% di legno nuovo. Il periodo varia da 11 mesi per le uve più delicate, come Alicante, fino a 20 mesi per quelle più robuste, come Petit Verdot e Cabernet Sauvignon. Dopo affina ancora 6 mesi in vasche di cemento prima dell’imbottigliamento.
La mia degustazione. Si presenta rosso rubino intenso e impenetrabile. Al naso è complesso ed elegante con note di frutti rossi in confettura, cannella, cacao, tabacco rifermentato, viola, legno. In bocca è morbido, sapido, freschissimo, equilibrato, ma con un tannino che chiede ancora tempo. Strutturato e lunghissimo. Grande potenziale di affinamento in bottiglia.
Una piacevole scoperta questo vino toscano e non vedo l’ora di conoscerli e assaggiare anche il resto dei vini che ho ricevuto in videoconferenza con il loro enologo mercoledì prossimo. Queste sono le visite in azienda ai tempi del Covid…
Cheers 🍷❤️
Chiara