Ieri sono stata ospite a una “insolita verticale” del Franciacorta Millè di Villa Crespia e per prima cosa voglio ringraziare Michela Muratori per l’invito e farle gli auguri per la sua bellissima pancina! Il taglio che mi esce naturale per questo articolo è inquadrare Millè in una logica di Case Study per analizzare il rapporto del vestito della bottiglia col valore percepito, e soprattutto come viene percepito da chi lo deve comprare, sia un operatore di settore sia un utente finale.
Millè è uno Chardonnay in purezza che nasce dall’assemblaggio di vini prodotti con uve coltivate nelle diverse terre della Franciacorta. Millè è anche un progetto più ampio, nato con l’obiettivo di avvicinare la generazione del Millennials al Franciacorta. In effetti viene proposto con un vestito insolito ed appariscente, da discoteca glamour e sfavillante. Proporre una verticale di questo Franciacorta mi è sembrato piuttosto “ardito” quando ho ricevuto l’invito, ma devo dire che mi ha piacevolmente sorpreso. Prima di parlare dei vini in degustazione, vorrei fare un piccolo ragionamento proprio sul packaging e sul vestito della bottiglia che credo sarà utile a Michela e a tutti i produttori di vino che mi seguono.
Un produttore di vino spesso dimentica di essere prima di tutto un’azienda che deve funzionare, e si abbandona a romanticismi che spesso lo allontanano dalla vendita. Allo stesso modo altri produttori si disinteressano totalmente dell’aspetto della bottiglia dimenticando che, sullo scaffale di un’enoteca o un supermercato, il consumatore finale viene attirato per prima cosa proprio dal vestito della bottiglia! Del resto è così in ogni aspetto della vita: quando incontri una ragazza per strada ne sei attirato per la sua bellezza, che spesso non è un valore assoluto ma un qualcosa che cambia a seconda dell’occhio dell’osservatore. Non mi puoi certo dire che quando incontri una ragazza o un ragazzo per strada ne sei attirato dal bellissimo carattere… no? Ecco, per il vino è la stessa cosa. Su uno scaffale offline tutto questo è amplificato, ma possiamo dire che anche in un’enoteca online segue le stesse dinamiche.
Questo ci insegna che l’etichetta ed eventuali gingilli che adornano la tua bottiglia attireranno un tipo di pubblico piuttosto che un’altro, o non attireranno nessuno. La cosa fondamentale poi è che il tipo di pubblico che attiri sia coerente con il contenuto della bottiglia. Anche questo aspetto funziona esattamente come nei rapporti umani. Ora faccio un paragone “forte”, ma che calza a pennello. Se tu cerchi una ragazza appariscente, che alle 2 di pomeriggio va in giro in abiti succinti e tacchi a spillo… la cerchi in biblioteca? No. Ti aspetti di conoscere una vergine innocente tutta “casa e chiesa”? La risposta è ancora no (oppure un bel “ti piacerebbe”… o “ho visto volare un unicorno”… 😄) Questo cosa significa? Significa che devi vestire la tua bottiglia in base al vino in essa contenuto che risponderà al gusto, al portafoglio e al “carattere di scelta” di un preciso target.
Per quanto riguarda il “gusto” la prima domanda che devi farti è “com’è questo vino?” e cercare di essere il più onesto possibile. Ogni volta che ricevo la telefonata di un produttore sento sempre questa frase “il mio è un vino diverso, speciale, fatto con tutti i crismi e bla bla bla”. Me lo dite tutti. Per prima cosa dovresti studiare il vino e imparare a bere per poterlo valutare correttamente… e questo non è scontato come può sembrare! Conosco più produttori che non hanno la minima base di enologia o viticoltura che il contrario, perché tanto poi il vino lo fa l’agronomo, l’enologo, il cantiniere… Poi dovresti bere tutti i vini della denominazione in cui si inserisce il tuo vino. Una volta ho parlato con un produttore di Brunello di Montalcino che mi ha detto di non aver mai assaggiato i vini degli altri perché lui beveva il suo… aiuto! Come puoi valutare oggettivamente il tuo vino all’interno del “genere” in cui si colloca senza avere termini di paragone? In termini assoluti non esistono vini che non si vendono. Esistono vini che sono proposti per un target che non sarà mai interessato a comprare proprio quelli, questo sì. E il target, ancora prima del vino, vede la comunicazione che ruota intorno alla bottiglia.
Poi c’è il “portafoglio” perché non tutti hanno la stessa volontà o capacità di spesa quando si parla di vino. C’è chi è disposto a spendere e chi no. C’è chi può spendere e chi no. “Quanto vale il tuo vino?” ecco la seconda domanda che devi porti! Lo so, per te il tuo vino vale oro perché rappresenta sacrifici, sudore, passione… o tante altre cose. Ma ti do una brutta notizia: questo non interessa a nessuno! “Quanto è disposto a pagare il tuo consumatore la tua bottiglia?” Nel caso di Millè abbiamo un Franciacorta particolare: almeno 30 mesi in acciaio sui lieviti e almeno 30 mesi di bottiglia. Insomma, non è proprio il classico Franciacorta “base” e collocarsi su una fascia di prezzo che ruota intorno ai 25 € è più che accettabile con questa premessa. Vestito della bottiglia a parte.
Infine c’è il “carattere di scelta” che è il fattore più importante per me. “Il potenziale consumatore che cerca un vino come Millé lo sceglierebbe in base alla bottiglia in cui viene presentato?”. Per “carattere di scelta” intendo il rapporto tra il packaging e il contenuto in funzione alla denominazione che può o non può essere proposta. Qui serve il ragionamento più complesso, ma anche il più affascinante. Abbiamo un packaging pensato per un consumatore a un livello un pochino più basso del consumatore medio. Abbiamo un vino pensato per un consumatore a un livello un pochino più alto del consumatore medio (anche se tanto fanno le annate nel caso del Millè). E infine abbiamo la Franciacorta DOCG, una denominazione forte e commerciale che tira “a prescindere” dal gusto e dal portafoglio esattamente come un abito indossato da Chiara Ferragni. Il terzo moltiplicando è la chiave di Millè. Se lo avessero fatto in Alta Langa credo sarebbe stata una tragedia annunciata: seppur terra di spumanti eccellenti (spesso molto molto molto al di sopra della media franciacortina), è una denominazione meno commerciale della Franciacorta e una bottiglia come Millè sarebbe stata snobbata da tutti. In Franciacorta, bene o male che sia, ormai tutto è concesso.
E quindi cosa penso di Millè? Penso che è un progetto di Marketing che funziona in rispetto alla denominazione e al vino che offre che, con l’annata 2010, la nuova annata in commercio, risponde finalmente in positivo alla domanda sulla coerenza tra packaging e contenuto e può per questo anche fidelizzare il suo consumatore. Come vedo una riserva di Millè 2004? Difficile da vendere. Ma proprio difficile, difficile e ancora difficile… l’unica possibilità è cambiare completamente il vestito alla bottiglia, il nome e indirizzarla ad un pubblico diamentralmente opposto. Il vino in essa contenuto non è il pubblico del Millè azzurro cielo e, diciamocelo, quel pubblico dubito sia interessato a comprare una Riserva, ammesso che sappia cosa significa la parola “Riserva”. Io mi metto nel pubblico diametralmente opposto che la Riserva 2004 di Millè la comprerebbe “ad occhi chiusi” anche con l’abito del Millé attuale, ma solo perché l’ho già bevuta… e tollererei la vista di una bottiglia del genere giusto a bordo piscina. Il packaging di Millè è glamour e frizzante e lo rende il Franciacorta perfetto da sbicchierare il un wine bar trandy o un disco pub sulla spiaggia, a patto di non considerarlo un’alternativa più o meno blasonata al Prosecco che taglia sul nascere la gara con la voce “prezzo”. Chi non è interessato al contenuto della bottiglia e si ferma al packaging sarà davvero interessato a bere un Franciacorta millesimato che paga almeno 4 volte il costo del suo principale competitor? Lascio la domanda aperta e aspetto una tua risposta in un commento. Io personalmente lo vedo un vino difficile da collocare in enoteca, a patto di non intercettare un pubblico che è lì per caso e solo per fare un regalo sotto le feste. Lo vedo molto, molto meglio in GDO ad esempio… ma spero che i miei amici enotecari partecipino alla discussione con i loro contributi!
E ora veniamo alle degustazioni! Tutti i campioni sono stati sboccati a maggio, pertanto si può dire che in tal senso hanno giocato ad armi pari. L’annata che mi ha davvero stupito è stata la 2007: degna di un grande Champagne! Un vino con una forte personalità, pulito, equilibrato, elegantissimo e con un profumo che oscilla tra note di frutta matura, note eteree, tostate e speziate. Il 2004 anche è davvero buono, al naso sorprende ancora più del 2007 ma al palato c’è un retrogusto leggermente amaro che credo sia dovuto alla caramellizzazione dello sciroppo di dosaggio. Colpa del tempo e del tappo, tanto che ogni bottiglia che ho degustato (3 in totale) ha vantato in tal senso una storia a sé. Una bottiglia in particolare era perfetta, e vestirlo con un abito sfavillante e proporlo come vino “Millennials”, anche Riserva, sarebbe un enorme peccato. L’annata peggiore in degustazione è stata la 2009: mancava di tutto, dal naso troppo poco complesso al perlage, non particolarmente fine e numeroso.
Quello che si intuisce è che dentro il progetto Millè c’è un vino che ha enormi e inaspettati potenziali di evoluzione. Quanto al Packaging… sicuramente Villa Crespia ha osato a proporre una bottiglia di questo tipo e fin dal primo giorno sapeva di attirarsi addosso critiche di ogni sorta. Invece non ha fatto bene, ha fatto benissimo a farlo! Sono anni che si parla di Franciacorta “prosecchizzato” per quel pubblico che vuole fare bella figura nel disco-bar con gli amici e apprezzano il vino come si apprezza una lasagna al ragù dopo un anno all’estero… e allora facciamolo!
Auguri Michela, tingi il mondo d’azzurro e rimani sempre fresca come sei. Tra i bevitori di Millé di oggi ci sono i futuri bevitori di Simbiotico, Brolese, Riserva o Numero Zero di domani. O forse no… ma rimani comunque vincente anche con una scelta di marketing rivolta agli amanti della sfavillante mondanità.
A presto,
Chiara
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P.P.S. Un piacere condividere il tavolo con Alessandro Caccia, il Delegato AIS Brescia, con cui mi sono sentita molto allineata in tutte le degustazioni. Vorrei dirvi che la mamma AIS è sempre la stessa, ma c’era anche un relatore AIS Spumanti che ha detto cose che, dopo aver bevuto solo lo scorso anno oltre 3000 bollicine per fare la guida e non, non riesco davvero a condividere!