Essere donna significa dovere dimostrare di meritarsi una posizione anche dopo averla ottenuta, il tutto mentre ti si chiede – con sufficienza – se sarai adeguata al tuo ruolo di moglie e madre. Essere donna in un settore che, da quando ha una connotazione di prestigio, è appannaggio per lo più degli uomini, significa non essere valutata per le tue capacità, bensì per come porti i capelli, per il tuo peso o per come ti vesti. Essere donna e capo significa dover guadagnarsi il rispetto della tua brigata mentre nel tuo ambiente si dubita delle tue capacità imprenditoriali. Come ha dichiarato Cristina Bowerman durante il suo intervento al corso di giornalismo enogastronomico della Luiss Guido Carli di Roma “[…] nei confronti della sua brigata lo chef uomo acquista autorevolezza in automatico, mentre la chef donna, che non ha la stessa autorevolezza di base, deve dimostrare di essere brava per essere rispettata”.
Essere donna e scrivere di un tema come questo è difficile, non solo perchè tocca dentro, ma soprattutto perchè è facile scadere nel cliché modaiolo del vittimismo, utile solo per fare una manciata di like in più.
Quando si parla di violenza sulle donne o del divario di genere serve il massimo rispetto. Serve dire tutto, senza dire mai nemmeno una parola di troppo. Perchè si sa, se si grida al lupo quando il lupo non ha nemmeno ululato, poi si perde credibilità. E mantenere la propria credibilità è fondamentale per essere donna e capo. Per non parlare del fatto che se non hai credibilità, nessuno verrà in tuo aiuto quando avrai davvero bisogno.
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Cristina Bowerman è chef patronne di Glass Hostaria e dal 2010 fa brillare la sua stella Michelin a Roma in zona Trastevere. Essere chef patronne significa essere una stella isolata in un cielo di costellazioni, e accettare che ti si punti contro un faro di accuse accuratamente mascherate con la scusa di trovarti quando in realtà basterebbe spegnere la luce per vederti splendere.
Cristina Bowerman, foto presa dal sito di Glass Hostaria
Cristina Bowerman: a una chef donna vengono fatte domande diverse.
La cucina di alto livello è uomo. L’imprenditoria è uomo. E quando una donna vuole fare la chef, ovvero la cuoca imprenditrice, sta correndo dritta su un campo minato. A una chef donna capita continuamente di non essere presa in considerazione come i suoi colleghi uomini. A dimostrarlo sono le domande che vengono poste: se agli chef uomini si chiede di parlare di cucina e di progetti imprenditoriali, alle chef donne si chiede come riescono a conciliare il lavoro con la famiglia. Pare che avere una famiglia e/o uno o più figli sia un obbligo di legge solo per le donne. Peggio, pare che ad occuparsi delle faccende domestiche e dell’ accudimento dei figli sia compito esclusivo delle donne. E così, anche a Cristina Bowerman è stata posta la classica domanda da alto giornalismo italico su come riesce a conciliare un lavoro così impegnativo con la famiglia. Cristina Bowerman ha detto di aver risposto, con grande lucidità e prontezza: “Ma tu hai fatto la stessa domanda a Cracco?”
Cristina Bowerman: la discriminazione velata della chef donna, la più pericolosa
Nel 2022 non si dovrebbe nemmeno parlare di divario di genere. La stessa introduzione del concetto di quota rosa è offensivo per le donne che hanno il diritto di essere in una certa posizione per merito e non per l’attributo sessuale che si trova tra le loro gambe. Per questo stesso motivo anche parlare di premi femminili, come ad esempio il premio speciale Chef Donna della Michelin, è di per sé una discriminazione che uno sguardo superficiale potrebbe interpretare verso gli uomini. In realtà il premio femminile è un sottoinsieme del premio vero, un premio minore, un lasciare la presa alla quota rosa quando a pelare la gallina è sempre l’uomo.
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Fin tanto che si parlerà di colmare il divario di genere con l’introduzione di quote rosa piuttosto che di premi riservati alle donne si concretizzerà una discriminazione sottile, che passa dalla svalutazione della donna ritenuta bisognosa di un aiuto in quanto non meritevole di per sé alla creazione di un ghetto placcato oro. Piuttosto si dovrebbe cercare di risolvere il problema dando l’autorevolezza – in cucina, nell’imprenditoria e nella vita – a chi la merita, senza pregiudizi fisici.
E ricorda: il primo modo per discriminare il lavoro di una donna, che sia sommelier o chef, è dire: questo vino o questo piatto si sente che è stato fatto da o per una donna. Con uno spessore di criteri visivi, olfattivi e gusto-olfattivi tale che… Einstein scansati!
Cheers 🍷
Chiara