Ho tanti, tanti articoli da scrivere post Vinitaly 2022 e Slow Wine Fair e sono indietro come le nespole… ma davvero oggi mi sento in dovere di condividere con te questa riflessione sul lavoro giovanile. Perchè, onestamente parlando e con tutto il rispetto, Alessandro Borghese e Antonino Cannavacciuolo (e chi come loro) mi ha rotto i… grissini con questo articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano. Giuro, mi sono morsa la lingua, ho affogato “l’invocazione” al dio Bacco in due calici di Sangiovese… ma niente, non riesce a non salirmi l’animale quando leggo queste cose.

Prima una premessa…

Adoro sia Alessandro Borghese sia Antonino Cannavacciuolo, in assoluto i miei due chef televisivi preferiti. E penso che il successo delle loro figure ha contribuito esponenzialmente a far elevare l’immagine di cuoco nell’immaginario collettivo… da operaio a divo, se si può dire. Programmi come Masterchef (che comunque a me piace tantissimo), 4 Ristoranti (andrei a mangiare praticamente in tutti i ristoranti che vedo…), Cortesie per gli ospiti ristorante e una buona fetta del palinsesto di Discovery ha “mitizzato” la cucina e il suo lavoro e così, se ai miei tempi erano i “somari” a scegliere l’alberghiero perchè si studiava poco (Sig!), oggi è una moda instillata anche dalle alte prospettive di guadagno (solo per chi ce la fa!) e da “quanto fa fico” dire “faccio lo chef”.

Su questo, ma solo su questo, Alessandro Borghese e Antonino Cannavacciuolo hanno ragione…

La dura realtà è che appunto “stare in cucina non è come stare sul set di un programma tv“. Quindi sicuramente chiunque ha approcciato questo mondo per moda o convinto di arricchirsi perchè “il ristoratore è ricco o va in giro in Porche” scappa a gambe levate piuttosto velocemente! Concordo anche su un’altra grande questione: i giovani spesso mancano di umiltà, soprattutto se talentuosi e/o “studiati”. E sono stata giovane anche io, e io per prima ero quella che mancava di umiltà quando ero fresca di studi e convinta che questi fossero un arrivo più che una partenza. Come cantava il mio amato Franco Battiato “Viva la gioventù, che fortunatamente passa / Senza troppi problemi / Vivere è un dono che ci ha dato il cielo…” e infatti poi tutti noi cresciamo e capiamo il valore della vita e – se cresciamo bene – cominciamo davvero a essere umili.

Ma c’è un enorme, grossissimo, MA.

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… ma proprio perchè capiamo che la vita è un dono, impariamo a dare valore al nostro tempo, ai nostri valori e ai nostri sogni.

Cari Alessandro Borghese e Antonino Cannavacciuolo…

… quando dite che i giovani pretendono “compensi importanti da subito” cosa intendete esattamente? Cos’è per voi un compenso importante?

“Sarò impopolare, ma non ho alcun problema nel dire che lavorare per imparare non significa essere per forza pagati. Io prestavo servizio sulle navi da crociera con “soli” vitto e alloggio riconosciuti. Stop. Mi andava bene così: l’opportunità valeva lo stipendio”.

Alessandro Borghese

Ecco, però diciamolo… non tutti sono figli di un’attrice e un imprenditore. Mi chiedo se il giovane Alessandro, di ritorno da quell’opportunità straordinaria di crescita professionale che consisteva nel lavorare gratis, aveva qualche spiccio per offrire una pizza a una ragazza, pagarsi un affitto con bollette annesse, bersi una birra. O – peggio mi sento – curarsi una carie. E (senza fare i conti in tasca, per carità, ma come spunto di riflessione) se questi soldini non arrivavano dal lavoro, come si materializzavano nel portafoglio di Alessandro?

Io per prima ho fatto due anni di “praticantato” in uno studio di architettura a 330 € al mese per oltre 8 ore al giorno e un anno ricordo come sono andata a lavorare un sabato 8 dicembre (festa, oltre che non lavoravo il sabato) sotto la neve. Ricordo il tramezzino all’uovo che mangiavo ogni giorno, il cappuccino e l’acqua che mi occupavano quasi la metà del mio reddito giornaliero. Sicuramente ho imparato molto, più che di architettura di gestione aziendale, ma l’ho potuto fare perchè al mio affitto, alle mie bollette, al mio frigo e alla maggior parte delle mie spese ci pensavano i miei genitori. Esatto, i miei genitori mi corrispondevano lo stipendio che non mi corrispondevano i miei datori di lavoro.

Non tutti hanno questa opportunità. E, con il senno dell’età adulta, non sono nemmeno sicura di considerarla un’opportunità. Anzi, sai cosa ti dico? Che oggi non avrei mai accettato di essere sfruttata in quel modo. Il lavoro va pagato e mischiare il lavoro con lo studio per avere la scusa di non pagare un giovane è per me immorale. Perchè capiamoci: se un giovane è intelligente e ha studiato, per quanto la scuola sia diversa dal lavoro, ha le basi per impararlo il lavoro. E dato che il lavoro in ristorante occupa un sacco di tempo, soprattutto in cucina, se questo giovane produce ricchezza per il ristorante deve essere pagato. Oppure si chiama sfruttamento.

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Ma anche chi crede che il ristoratore – o qualsiasi altro imprenditore, sopratutto se si è fatto da solo – sia un “ricco senza cuore” che fa pagare 10 € un piatto di pasta al sugo (giuro ho letto anche commenti di cotanta intelligenza su Facebook) senza capire che:

  • un piatto al ristorante non ha i costi di gestione di un piatto a casa;
  • la materia prima è l’ultimo (o quasi) dei costi di un ristorante;
  • il lavoro in Italia costa tantissimo;
  • le aziende in Italia sono tassate tantissimo;
  • il dipendente la pressione non sa nemmeno cosa sia rispetto all’imprenditore;
  • il rischio di impresa è dell’imprenditore e questo rischio, prima o poi, deve necessariamente presentare il conto per aver avuto senso di essere vissuto

… mi ha rotto i grissini più di Alessandro Borghese, Antonino Cannavacciuolo et similia.

Ma attenzione: queste non sono motivazioni valide per non pagare una persona che lavora. Anche perchè la gratificazione economica è fondamentale per avere una persona, giovane o meno giovane, che tiene al suo posto di lavoro. Il lavoro va pagato, i turni gestiti. Ho visto personale sia in cucina sia in sala superare di poco le 1.000 € al mese e fare anche più di 60 ore a settimana, festivi inclusi.

Cari Alessandro Borghese e Antonino Cannavacciuolo, siete sicuri di offrire uno stipendio adeguato alle competenze che cercate o, almeno, allineato agli obblighi previsti di legge? Se lo fate – secondo me – qualcuno che viene a lavorare per voi e dura più di due o tre giorni lo trovate… vi stupireste di quanti ragazzi lavorano – con orgoglio e impegno – nello stesso ristorante da anni se trattati come esseri umani.

Prima di lamentarvi che i giovani non vogliono fare sacrifici o diventare adulti cercate di dare il giusto peso alle parole: fare sacrifici non significa fare volontariato. Un giovane che lavora 10 ore al giorno e ha una casa da mandare avanti – affitto/mutuo, bollette, pulizie, cucina, lavare… –  senza aiuti fatica a prendersi un’ora per sé e ad avere i soldi per mangiarsi una pizza fuori al mese, soprattutto se vive da solo. Questi sì, sono sacrifici. Ma non potersi permettere quella casa ed essere costretti a vivere con i genitori mentre si è sfruttati da qualcuno è regalare il proprio tempo a qualcuno disposto a rubare il tuo futuro.

E per me un mentore ti dà il cuore. E non solo a parole perchè fa audience.

Cheers 🍷

Chiara

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